domenica 24 luglio 2011

London by might | day 5

29 Giugno 2011

Dura alzarsi dal letto sapendo che lo fai per partire. Ultima colazione seguita da chiusura valigie e saluto alla camera che ci ha fatto da casa in questi 5 giorni. Lasciamo i bagagli nella hall per non doverceli portare appresso per tutta la mattinata - dato che il volo lo abbiamo di pomeriggio - e prendiamo la metro per Notting Hill Gate.

La mattinata è fresca e noi siamo usciti abbastanza presto, e perciò con sollievo di noi uomini e dispiacere delle nostre donne i negozi sono ancora chiusi. Oltretutto lì il mercato si svolge di sabato, e quindi è in un’atmosfera abbastanza atipica per la zona che imbocchiamo Portobello Road. In pratica c’eravamo solo noi in giro, come se avessimo affittato la via.
Edifici bassi, case singole attaccate l’una all’altra, all’inizio della via tutte bianche ma ognuna con portoni di colori diversi (anche improbabili), mentre man mano che si prosegue e le case cedono il posto ai negozi, le facciate si tingono di colori accesi e vetrine strabordanti di roba. Tra negozietti di artigianato ed antichità, di chincaglieria e souvenirs, tra finestre in legno ed insegne in ferro battuto, passeggiamo per tutta la via e quando finisce vien voglia di rifarla al contrario, per poi ripercorrerla ancora e ancora. Ma oggi si va via, e c’è ancora un posto da vedere, un posto che abbiamo riservato per ultimo, pur avendolo avuto a pochi passi dall’hotel, il posto che serve per chiudere in bellezza il nostro viaggio a Londra.

Hyde Park.
Scendiamo alla fermata di Marble Arch, così già che ci siamo diamo un’occhiata anche a lui.
Originariamente progettato per stare davanti l’ingresso di Buckingham Palace, adesso sta lì, in mezzo al traffico e di fronte ad una entrata del parco. Interamente in marmo, sembra un tantino fuori posto a dirla tutta, come se lo avessero messo di lato. Certo, la sua bellissima figura la fa, ma dal palazzo reale all’incrocio stradale (così ci ho fatto pure la rima) di differenza ce ne passa.

Entriamo dunque nel parco dal lato di Speaker’s Corner, dove oggi non c’è nessuno a parlare però. Ci incamminiamo verso l’interno dunque, e man mano che camminiamo ci rendiamo più o meno conto di come il parco sia diviso in aree; questa in cui ci troviamo noi è fondamentalmente una grandissima distesa di prato all’inglese tagliata da viali per passaggio pedonale, dove cani e padroni corrono in ampissimi spazi aperti; inoltrandoci arriviamo nell’area alberata, simile ad un vero e proprio bosco con tanto di capanna del guardiaparco. Qui ci si può fermare a riposare sotto gli alberi, dato il fresco garantito sia dall’ombra che dal vicino Serpentine, il lago che si trova all’interno di Hyde Park.
Quella del lago è la terza zona: una grande distesa d’acqua in cui papere, cigni e altri uccelli (a me) sconosciuti fanno il bagno mentre la gente guarda loro, il parco, la città tutt’intorno, il cielo e l’altra gente comodamente seduta sulle panchine che guardano lo specchio d'acqua, o mentre passeggia costeggiando la riva.
Dopo aver passato una decina di minuti seduti in meditazione a bordo lago, ci rimettiamo in piedi e risaliamo il lago in direzione dell’uscita nord, che è quella più vicina all’hotel.
Dopo una foto sul prato accanto alla quarta zona, quella delle fontane, che si trova vicino la suddetta uscita, abbandoniamo il nostro ultimo luogo di visita e torniamo a prendere le valigie.

Salutiamo la facciata dell’albergo, la via, i Sussex Gardens lì accanto, i tre ristoranti in cui abbiamo cenato, l’incrocio in cui guardare prima a destra e l’omino che distribuisce il quotidiano gratuito all’ingresso della metro, e con un ultimo sguardo alla Londra in superficie, lasciamo occhi e cuore davanti i gradini della fermata di Paddington.
Ripercorriamo tutto il tragitto a ritroso, Paddington – Victoria Station – Gatwick Express – Aeroporto, e dopo un check in decisamente più veloce di quello di Catania ci accorgiamo che la nostra vacanza è davvero finita.
Lasciamo il suolo britannico alle nostre spalle, ed il tragitto in aereo che mostra sotto di noi la Manica, la Normandia, Parigi, e poi ancora la Corsica, la sardegna e le Eolie, ed infine le coste siciliane, l'Etna e l'aeroporto di Catania conclude quella che per noi è stata un'esperienza meravigliosa. Stancante sì, ma che se potessi rifarei anche domani.

Ah, al nostro arrivo a Catania i nostri bagagli sono stati depositati dopo 20 minuti... sul nastro trasportatore di un volo proveniente da Verona.

Penso che alla fin fine sia da prendere come un “bentornati in Italia”, non credete?

sabato 23 luglio 2011

London by might | day 4

28 Giugno 2011

Le 7:00 arrivano con calma oggi, è come se la notte avesse deciso di farci riposare un po’ di più, infatti siamo – piedi a parte – più pimpanti dei due giorni precedenti, sarà anche colpa (o merito) dell’allenamento, chissà!
Colazione all’inglese che perde un altro adepto – me, cominciavo a sentire nostalgia del caffellatte – e via di slancio in metro diretti ad Earls Court!

Logan Place era per me il crown jewel di tutto il viaggio; l’ultima residenza di Freddie Mercury, il posto dove andare ad offrire la mia devozione ed il mio ultimo saluto al personaggio che mi ha portato a scoprire, amare e vivere la musica.
Scendiamo ad High Street Kensington e ci avviamo lungo una parte di Londra nuovamente diversa da tutte le altre incontrate finora. Case basse e viali stretti, un gran viavai di persone ed una marea di locali etnici (tantissimi italiani).
Attraversata Earls Court road, ed accompagnati dalla radiolina scassata di un muratore che dipingeva una parete al ritmo di “Message in a bottle” dei Police, giriamo l’angolo ed eccoci qua.
Adesso, non per fare il melodrammatico - gli altri miei compagni di viaggio possono testimoniarlo - ma il tempo trascorso dall’ingresso nella via, alla visita, all’uscita, non ha visto transitare nè una macchina, nè passare una persona a piedi in quel luogo, come se mi (ci) fosse stato dato il tempo di goderci quell’attimo.
È un posto tranquillo, nella via ci saranno 3-4 villette oltre a Garden Lodge (si chiama così la villa). Il perimetro è circondato da un muro di mattoni protetto da lastre di plexiglas per evitare spraypainting ed altri imbrattamenti, ma in ogni caso non ce ne sarebbe bisogno dato che tutta la zona è semplicemente immacolata. Solo un fogliettino tra il plexiglas ed il muro con su scritto (traducendo) “portate questi fiori a Freddie”, senza fiori sotto, e mi piace pensare che chi di dovere abbia provveduto a farglieli avere.
La mia visita non è stata niente di speciale: uno sguardo al tutto, un appoggiarsi con la mano al portone d’ingresso, una passeggiata lungo la facciata frontale, un saluto.
Va bene così.

Tornando indietro verso la metro veniamo irresistibilmente attratti da una vetrina di una pasticceria italiana in cui ritroviamo - finalmente! – il gusto di un espresso decente e di cornetti come Dio comanda. Soddisfatti, prendiamo la solita metro (che ormai conosciamo come le nostre tasche) per andare verso la Mecca dello shopping: Harrod’s!

Scendiamo a Knightsbridge e dopo un paio di centinaia di metri arriviamo ad uno degli ingressi dei grandi magazzini (anche se detta così sa un po’ di Renato Pozzetto...). Il palazzo è decisamente sontuoso, occupa un intero isolato ed ha addirittura una piattaforma per elicotteri sul tetto; all’interno c’è di tutto, dagli stuzzicadenti agli strumenti musicali, dai libri ai mobili... alle grandi firme, negozi dove trovare borse da 5.000 sterline e scarpe da 10.000. Nemmeno tanto stranamente, in questa parte di Harrod’s le uniche donne che compravano erano arabe, giovani ragazze con velo e borse Prada. A noi comuni mortali almeno il guardare comunque era concesso.
Usciamo abbastanza presto comunque, sinceramente tutto l’edificio non fa più tanta impressione, dato che al giorno d’oggi siamo praticamente circondati da centri commerciali che sono città nelle città. Ovviamente 50-60 anni fa era diverso...
rimane comunque una delle cose da vedere a Londra, e noi la spunta possiamo dire di averla messa.

Giusto perché abbiamo camminato poco in questi giorni (...), prendiamo ad ovest lungo Hyde Park ed in un paio di chilometri arriviamo alla Royal Albert Hall, uno dei massimi Tempi della musica Europea.
Sembra un panettone di mattoni rossi e marmi bianchi, sovrastato da una cupola in vetro, ed è esattamente quello che ti aspetti che sia un teatro di questa importanza e dimensioni: un grandioso spettacolo già soltanto a guardarlo.

Esattamente di fronte, e siamo già dentro Hyde Park, si trova l’Albert Memorial, una grandissima statua dorata raffigurante il Principe Alberto, marito della regina Vittoria. Posta dentro un baldacchino a guglie e circondata da 4 gruppi di sculture, noi seduti ai piedi di tutto il complesso sembravamo formiche ai piedi di un gigante.

PIOVE!

Fuggi fuggi verso la metropolitana di South Kensington, passiamo davanti Science Museum, National History Museum e Victoria and Albert Museum, tutti luoghi meritevoli di visita ma la pioggia ci dava dentro di brutto e preferiamo evitare e metterci al riparo.
Si avvicina l’orario di apertura di Temple Church (trovata chiusa alla nostra prima visita), quindi via in metro e arrivati in zona Temple ci sediamo a mangiare qualcosa fuori dato che nel frattempo aveva smesso di piovere.
Come non detto, riprende se possibile più forte di prima e troviamo riparo sotto un portico finché non si calma un tantino e cominciamo ad avviarci sullo Strand verso la chiesa, percorrendo a ritroso la strada fatta due giorni prima, ripassando davanti la Royal Courts of Justice e notando questa volta – cosa che ci era sfuggita al passaggio precedente – come di fronte si trovi la sede storica della Twinings! Il negozio al suo interno, ovviamente di solo té, è delizioso e ci sarebbe da lasciarci almeno un centinaio di Sterline... forse per questo decidiamo quindi di allontanarci il più velocemente possibile!

Arriviamo davanti Temple Church quindi e stavolta la troviamo aperta. Ingresso 3 £ ma glieli diamo volentieri, la chiesa è deliziosa, piccola e fondamentalmente divisa in due parti: la prima parte davanti l’ingresso di forma circolare, in cui trovano posto le tombe con le raffigurazioni dei cavalieri Templari, e la seconda parte di forma rettangolare in cui si trovano i banchi per i fedeli, il coro, ed il bellissimo organo (progettato da Christopher Wren, architetto tra le altre cose di St. Paul), non grande ma importante.
Inutile dire che abbiamo preso la scusa della pioggia per rimanere lì dentro più di mezz’ora.
Le tombe come detto sono poste appena dopo l’entrata, e le effigi raffigurate, a vederle da vicino, sembrano come volersi alzare da un momento all’altro, tanta è la vitalità che esprimono, e pensare che sono state poste lì quasi 900 anni prima fa un effetto davvero strano. L’atmosfera che si respira lì dentro in effetti è molto particolare, quasi mistica. Tutta la parete della prima parte di chiesa, quella circolare, è circondata da volti in pietra raffiguranti smorfie, mentre la seconda metà, quella più propriamente dedicata al culto, è circondata da vetrate mosaicate dipinte con immagini di templari, chiese in fiamme e santi con spade, mentre a fare da sfondo all’altare si trova una raffigurazione molto bella delle tavole della Legge.
Piccola curiosità, ogni bancone, ogni posto, aveva la sua Bibbia, molto bella e rilegata in velluto ed oro. OVVIAMENTE erano tutte al loro posto... ogni riferimento a noi Italiani è puramente voluto.
Dopo aver fatto dentro-fuori un paio di volte per vedere se avesse spiovuto, ed essere stato accolto ogni singola volta dalla vecchina/custode con un good evening che voleva dire “ha già pagato?”, andiamo via verso l’ultima destinazione della giornata.

Metropolitana direzione Moorgate e solita passeggiata per giungere in loco.
il loco in oggetto stavolta è Bunhill Fields, cimitero monumentale dove si trova sepolto, tra gli altri, lo scrittore William Blake.
Posso esprimere un desiderio? Voglio essere seppellito in un cimitero così, ecco.
Avete presente i cimiteri che si vedono nei film, quelli con lapidi antiche, statue di angeli, obelischi con teschi etc etc...? ecco. La descrizione è tutta lì.
Credo che sia la cosa più macabramente bella che abbia mai visto in vita mia.
I corvi e le colombe appollaiate sulle lapidi, l’aria satura di umidità, il selciato bagnato, l’erba umida di pioggia ed il suo odore inconfondibile, gli alberi che celano il pochissimo sole che filtra attraverso le nubi... e per concludere il tutto, un pianoforte bianco totalmente a disposizione dei visitatori che vogliono suonare per i defunti. Meraviglioso.
Caso vuole che mentre sto osservando la tomba di Blake e quella bellissima di John Bunyan, mi si avvicini un uomo in jeans e camicia bianca, mi passi accanto, posi la bici accanto al pianoforte... e cominci a suonare. Ecco, credo che in quel momento io abbia raggiunto la pace interiore.



Abbiamo ancora un po’ di tempo oggi, e dato che sono quasi le 17 e siamo in tema... avevamo un té in sospeso nel cafè-in-the-crypt a St. Martin in the Fields!
Ritorniamo a Trafalgar Square che sono proprio le 17, e ci infiliamo – è proprio il caso di dirlo – sotto la chiesa, dentro la cripta.
Il locale è molto particolare ovviamente, con soffitto a volte in mattoni sorretto da travi in pietra chiara. L’illuminazione soffusa ed il sapere di essere nella cripta di una chiesa contribuisce a creare un’atmosfera decisamente affascinante.
Dopo il rilassante té, facciamo una capatina nel negozio di souvenirs che si trova al piano di sopra e poi fuori, destinazione hotel.

È la nostra ultima sera a Londra, ci vuole dunque una cena speciale!
Avevamo adocchiato, sempre nella nostra zona, un ristorantino Greco che ci ispirava particolarmente, e dunque decidiamo di passare lì l’ultima cena Londinese.
Tra una moussaka ed una pita intinta in panna acida, la serata scorre via in maniera piacevole seppur con un fondo di malinconia portata dal pensiero che domani alla stessa ora saremmo stati a casa nostra.
Forse per questo motivo il ritorno in hotel è stato più lento di passo del solito, e la preparazione delle valigie è avvenuta in un silenzio quasi dispiaciuto.
Il sonno comunque è arrivato lo stesso, così come è arrivato ahimè l’indomani.

London by might | day 5

venerdì 22 luglio 2011

London by might | day 3

27 Giugno 2011

Sveglia alle 7:00 ma alle 6:30 eravamo già tutti in piedi, colazione con gli English breakfast che da 4 passano a 2 (le donne cedono al fascino ed alla normalità della colazione continentale) e via subito in metro destinazione St. John’s wood per un’altra tappa del mio music tour.
Amara sorpresa, e brusco ritorno alla realtà: è lunedì, e la relativa calma e desolazione in metro dei due giorni precedenti sparisce tornando ad un ben più veritiero e normale sardina-style... ma mica potevamo pretendere la metro solo per noi eh!

Usciti dalla stazione, per arrivare a destinazione camminiamo un po’ notando come il paesaggio sia diverso dalle zone centrali; qui è pieno di villette singole e viali alberati, e la zona è decisamente più tranquilla rispetto a tutte le altre dove siamo state finora.

Giriamo l’angolo ed eccola lì, Abbey Road in tutto il suo splendore, con tanto di strisce pedonali ed Abbey Road studios!
Per quelli che sono stati sulla luna negli ultimi 50 anni, le strisce pedonali di questa via sono famosissime per essere state immortalate nella copertina dell’album “Abbey Road” (toh!) dei Beatles, con sopra i Fab 4 che le attraversano. Potevo quindi perdermi l’occasione? NO! E quindi vai di foto mentre anche io attraverso! Certo, avrei dovuto farla scalza – come Paul McCartney nella suddetta copertina – ma va bene anche così.
La via non è molto frequentata, anche se il passaggio di auto è abbastanza frequente, ed in generale è una via come le altre, come se ne trovano migliaia a Londra... solo che NON è una via come le altre manco per niente! Attraversando quelle strisce si ha come una sensazione diversa, la sensazione di passeggiare nella storia (un po’ come se potessi attraversare il Rubicone insomma)...
magari era tutto una mia sensazione, ma sono sicuro di no!
Accanto alle strisce ci sono gli studios, dove Beatles e centinaia di altri gruppi di fama mondiale hanno inciso i loro dischi più celebri. Lì c’è l’unica parete imbrattata che ho visto in tutta Londra, ma è assolutamente una cosa voluta. Chiunque passi di lì, fan o semplici curiosi, lascia una firma per testimoniare il proprio passaggio. Lascio a voi immaginare se io l’abbia fatto o meno.



dopo aver visto una bella chiesa battista lì accanto, e dopo aver incrociato un prete con carrozzina e bimbo dentro, torniamo in metro per andare alla seconda tappa storica della mattinata: Baker Street.
Due piccioni con una fava qui: il 221b, indirizzo di fantasia dell’appartamento di Sherlock Holmes ed ora sede del museo – e del negozio di memorabilia - dedicato all’investigatore, ed il 231/233 dove si trova l’Official Beatles Store.
Un cortesissimo e palesemente finto bobby (così sono chiamati i poliziotti Londinesi) ci attende davanti l'entrata del museo con cappello e pipa da Sherlock e cappello da Holmes da indossare per la foto di rito davanti l'ingresso della casa museo. Dato che dopotutto il museo è una ricostruzione di un finto appartamento che non è mai realmente esistito, decidiamo di non entrare e di far tappa invece nel Beatles store – dove vanno via una quarantina di sterline - e di seguito nel più generico Rock store che si trova esattamente di fronte.
Effettuato il salasso finanziario (non senza una certa soddisfazione, dopotutto), torniamo indietro con la metro in Regent Street, dove stavolta troviamo Hamleys (e tutti gli altri negozi ovviamente) aperto già da un po'.

Non mi dilungo troppo, basti sapere che c'è un intero primo piano dedicato ai peluches, ci sono i commessi che giocano tranquillamente tra un cliente e l'altro, ce ne sono altri che offrono dimostrazioni gratuite dei giocattoli a bambini e grandi, ed in particolare ce n'era uno che per tutto il tempo della visita di un piano, ci seguiva guidando sopra le nostre teste un elicottero radiocomandato, pigliandoci pure un tantino per il culo, secondo me.
5 piani di sogni per grandi e bambini insomma, con attenzione particolare ad Harry Potter (l'ultimo film era lì lì per uscire quindi c'era una vetrina e mezzo piano dedicato solo a lui), ai Transformers (stesso motivo di Potter) ed al Mago di Oz, con figuranti in costume che accoglievano i clienti all'entrata. Insomma, non era Disneyland, ma indietro con gli anni lì dentro ci si torna ugualmente.

Per la prossima tappa, il British Museum, prendiamo la metro destinazione fermata di Tottenham Court Road; e qui faccio una gradita sorpresa al mio compagno di viaggio che come me adora i Queen: non appena usciti dalla metro ci si trova davanti il Dominion Theatre. Io lo sapevo ma non gli ho detto niente, quindi vedere la sua faccia non appena usciti in superficie ed essersi trovato di fronte il teatro dove da più di dieci anni viene messo in scena il musical “We will rock you” – e la statua enorme di Freddie Mercury che campeggia sopra l’entrata - è stata per me una delle soddisfazioni più grandi di tutto il viaggio. Dopo esserci morsi le mani per non poter assistere al musical (sempre causa tempi ristretti, ormai penso di averlo detto una ventina di volte), proseguiamo per il museo.

Ci arriviamo costeggiando vari negozi e negozietti, tra cui una libreria in cui servivano té, e ci troviamo davanti una facciata immensa, che non esagero a dire non entra neppure in due foto una accanto all’altra prese dalla massima distanza possibile.
Parlando di foto, prima di entrare ci imbattiamo in un gruppetto di monaci Buddisti in abito tradizionale arancio che cercano di entrare ma vengono prontamente bloccati ogni 2-3 metri da turisti che vogliono fotografarli. Loro fanno buon viso a cattivo gioco (anche perché erano circa le 13:00 e come potete immaginare la loro pelata non era esattamente adatta a stare sotto il sole cocente) e si mettono in posa, ed io ne approfitto per rubargli un po’ d’anima con la mia Kodak.
Anche qui vale quanto detto per il National Museum: troppo da vedere in troppo poco tempo, ci sarebbe da dedicarci almeno una settimana. Ce lo lasciamo alle spalle con gli occhi pieni di meraviglie delle epoche passate, dalle enormi statue egizie raffiguranti animali sacri e faraoni, agli orologi dai meccanismi più improbabili di metà ottocento, dalla Stele di Rosetta, veramente incredibile vista dal vivo, ad una facciata di un tempio Greco ricostruita per intero dentro una sala, dalle statue meravigliose originariamente poste all'ingresso superiore del Partenone, maestose e rifinite – anche dietro - come se dovessero essere viste da vicino e non solo dal basso e da lontano come da posa originaria, alle mummie ed ai sarcofagi perfettamente conservati arrivati a noi integri dopo più di duemila anni, dai monili in oro puro destinati a Re e Regine, agli scudi e le armature di soldati di tutte le epoche e civiltà.
Quello che più ci ha colpiti però è stata la presenza allegra ed interessata di decine di scolaresche di bimbi, in giro per le sale ma più spesso sedute a terra, matita e foglio alla mano, a disegnare e cercare di riprodurre statue, colonne e mosaici. Se mai dovessi trovare un'immagine per la parola cultura beh, immagino sarebbe questa.
All'interno del museo trovano spazio anche l'immancabile negozio di souvenir (più d'élite rispetto a quello del National però) ed un decisamente inaspettato ristorante a pianta circolare posizionato al centro di quella che sembra un'agorà all'interno delle quattro mura del museo stesso.
La vista del ristorante ci ricorda che a pranzo non abbiamo mangiato niente, quindi strada facendo ci fermiamo in un fast food a riposare gambe e riempire pancia.

Metro che ci porta a sud del Tamigi adesso, per poter attraversare a piedi il Tower Bridge.
Lungo il cammino che ci porta dalla metro al ponte abbiamo modo di guardare verso il lato nord e vedere la skyline della City che, in tutta onestà, stona un po' in mezzo a tutta la Storia (la S maiuscola non è messa a caso) che abbiamo visto e che circonda questi edifici.
Poco prima del ponte passiamo accanto alla HMS Belfast, grande nave da guerra della seconda guerra mondiale ormeggiata sul fiume e completamente visitabile. Non un filo di ruggine né di sporco, sembra appena uscita dal cantiere navale... e pronta a salpare.
Oltrepassata la nave veniamo presi un po' alla sprovvista da 4 gocce di pioggia che fortunatamente si rivelano essere proprio 4, mentre il profilo del Ponte di Londra si fa sempre più grande ad ogni nostro passo.
Cavoli se è grande! È già imperioso da lontano, ed attraversandolo lo diventa ancora di più. La commistione di pietra e ferro lo rende come un oggetto senza tempo, difficile da datare; a seconda di dove si posa lo sguardo, sembra costruito 300 anni fa oppure il mese scorso.
Si può visitare anche l'interno, ma la minaccia di pioggia ci fa desistere e dirigere lo sguardo dall'altro lato del ponte dove ci aspetta la Tower of London.
Il non averla visitata dentro resta il mio rammarico più grande di tutto il viaggio; anche questa è enorme ed avrebbe meritato magari non una settimana, ma di sicuro un giorno intero.
Già solo a guardarla ti restituisce la sensazione di Medioevo, di dame e cavalieri, cospirazioni e regni, tradimenti e rivolte, cavalli ed armature, assedi ed incendi, paglia e tavoli di legno. Figuriamoci visitarla che sensazioni e che visioni avrebbe portato.
La pietra bianca e beige delle sue mura ed il legno dei suoi ponti e passaggi interni ci accompagnano per tutta la lunghezza del suo perimetro che ci porta dritti dritti – dopo un bel po' di strada a piedi in verità - alla nostra prossima tappa, la cattedrale di St. Paul.

Ce la vediamo apparire alla nostra destra, e ad una prima occhiata è facile scambiare l’entrata laterale – che è quella che ci siamo trovati davanti – per l’entrata centrale, tale e tanta è la magnificenza che salta agli occhi. Giusto per far capire di cosa stiamo parlando, quanto a grandezza è seconda solo a S.Pietro a Roma.
Piccola parentesi, di fronte all’entrata laterale della cattedrale, seguendo la via che parte da lì, si arriva dritti dritti al Millennium Bridge, che si vede in lontananza e sembra veramente una grande altalena per adulti più che un ponte.
Dopo esserci accorti che quella che ci eravamo seduti ad ammirare era soltanto il lato sinistro della chiesa, proseguiamo per poterla ammirare dal davanti, e possibilmente da dentro.
Dal davanti è così (penso non servano parole):



Da dentro non lo so, dato che quel giorno era chiusa al pubblico, ma a quanto ne so ci siamo persi un gran bello spettacolo, ivi compreso il progetto in scala 1:24 interamente in legno che Wren (l’architetto che la progettò) realizzò per essere sottoposto ad approvazione, e che oggi si trova dentro la cripta.
Dopo aver fotografato una coppia di Giapponesi in abiti nuziali (penso fossero lì solo per le foto, dato che la cattedrale come ho detto era chiusa), proseguiamo a piedi in direzione di Temple Church.

Dopo esserci un po' persi, nonostante mappe e navigatori, all’interno della zona del Temple – una specie di complesso di edifici chiuso e poco frequentato sia da turisti che da pubblico in generale -, finalmente troviamo Temple Church, luogo dove sono seppellite le salme di nove cavalieri Templari, e tappa obbligata per chiunque sia anche minimamente affascinato dall’argomento.
Pensa un po’, è chiusa anche questa, ma guardando gli orari affissi scopriamo che il giorno dopo sarebbe stata aperta (dalle 14 alle 16, che orari del cacchio...), quindi a questo luogo diamo semplicemente un “a domani” e non un “arrivederci”.

Dalla fermata di Temple si arriva dritti dritti in 2-3 fermate a King's Cross, prossimo ed ultimo luogo del programma odierno. Passeggiando per lo Strand, nel tragitto che ci porta alla metro, poco dopo essere usciti dalla zona del Temple, ci imbattiamo nella Royal Courts of Justice, splendido edificio Gotico Vittoriano che sembra uscito da un romanzo di Stoker. Guardato a vista da un drago in ferro sul lato destro dell’entrata, attira a sé lo sguardo come se ci fosse solo lui, tanto è bello da vedere. Ed infatti ipnotizzati dalla sua vista ci perdiamo un luogo in cui fortunatamente ci imbatteremo l’indomani sulla via della seconda visita a Temple Church.

Cosa c'è a King's Cross di così importante? Beh, intanto è una gran bella stazione di per sé; per i fan sfegatati di Harry Potter come noi è però tappa obbligata, dato che è proprio da lì che parte il treno che porta ad Hogwarts, dal binario 9 e ¾ per l'esattezza!
Appena usciti dalla metro e girato l'angolo che porta all'ingresso della stazione cominciamo però a vedere qualcosa che non ci piace: transenne ed impalcature. Entriamo comunque, ed è qui che con sommo rammarico scopriamo che la stazione è in fase di pesanti ristrutturazioni che impediscono l'accesso alle piattaforme dalla 8 in poi... che sfiga!
Niente foto del binario dunque e neppure la soddisfazione di vedere una delle stazioni ferroviarie storiche di Londra, talmente tanto era nascosta da tubi, travi e cartelloni di lavori in corso.
Ci arrendiamo così alla stanchezza ed alla sfortuna e decidiamo di tornare in hotel.

Dopo una doccia veloce usciamo per andare a mangiare alla “Dickens Tavern”, un pub delizioso che si trova praticamente di fronte a dove abbiamo mangiato la sera prima.
Ieri pesce, oggi carne! Non usano pane se non crostini, in compenso ti riempiono di patate.
Il cibo è buono, l’ambiente è caratteristico, in TV passano immagini di Wimbledon (in quei giorni c’era il torneo), ci sono pure gli avventori che ci provano con la cameriera, non potevamo pretendere di meglio insomma!
Concludiamo con una bella passeggiata digestiva al fresco della sera Londinese, e tutti a letto con la stanchezza in corpo ed il desiderio che l’indomani arrivi il prima possibile.

London by might | day 4

giovedì 21 luglio 2011

London by might | day 2

26 Giugno 2011

Sveglia alle 6:30 e tutti giù in sala colazione per poter provare il tipico English Breakfast (vedi foto):



fagioli, uovo, salsiccia, bacon, pomodoro (o hashbrowns, in pratica una polpetta di patate), tutto innaffiato ovviamente da tè inglese. Aspettate a dire “che schifo!”, perché si è rivelato tutto piacevolmente buono e sostanzioso (e direi!), nonché capace di trasportarci agevolmente verso le 14:00, e di movimento come vedrete ne abbiamo fatto! Ah, dimenticavo l’immancabile imbevibile caffè all’americana... ecco, adesso potete pure dire “che schifo!”.

Usciti dall’hotel ci dirigiamo verso la metro, direzione Buckingham Palace. Decidiamo di scendere a Victoria Station, anche se la fermata più vicina era quella di Hyde Park Corner, ma essendo in anticipo decidiamo di farci una camminata – dacché eravamo ancora belli freschi e riposati - lungo le mura dei giardini del palazzo. Durante la passeggiata lungo Constitution Hill veniamo raggiunti e superati dalla guardia a cavallo per cui acceleriamo il passo per arrivare davanti i cancelli in tempo.
Essendo domenica il traffico era chiuso, di conseguenza il colpo d’occhio è stato splendido: I cancelli di Green Park, Buckingham Palace, il Queen Victoria Memorial al centro della piazza, St. James’s Park di fronte, e sullo sfondo, in lontananza, il Big Ben ed un accenno di London Eye. Sì, siamo a Londra.
C’è gente ma non troppa, per cui riusciamo agevolmente a spiaccicarci ai cancelli d’ingresso – bellissimi in nero e oro – in attesa dell’arrivo del cambio, che non si fa attendere nemmeno troppo. Curioso notare come da lontano le guardie sembrino realmente dei soldatini di piombo, immobili e marziali. Visti da vicino riacquistano una dimensione più umana ed anzi, vedere dei giovanissimi inglesi (alcuni sembravano appena diciottenni) conciati – in senso buono – a quel modo, rende visivamente al meglio quel senso di dedizione alla Union Jack che si sente quasi fisicamente in quei posti.



finito il cambio delle guardie a piedi e pensando - mea culpa - che quello delle guardie a cavallo fosse da tutt'altra parte, ci incamminiamo per St. James's Park, che è proprio di fronte al palazzo, al lato opposto del Green Park. Dopo aver comprato un paio di bibite al chiosco, ed imprecando perchè non mi veniva in mente come si dicesse "cannucce" (straws, per la cronaca) facendomi prendere per muto che mugugna gesticolando, ci avviamo lungo il laghetto del parco – perdendoci il cambio della guardia a cavallo, di cui arriviamo a stento a sentire i tamburi in lontananza -, tra anatre che nuotano e scoiattoli che letteralmente ti saltano in braccio per prendere il cibo che gli offri. Dopo esserci resi conto che quattro ultratrentenni che vanno appresso agli scoiattoli urlando "che cariiiiiiiiiini" dopotutto non sono uno spettacolo molto edificante, usciamo dal lato sud del parco, non prima di aver fatto un paio di foto vicino al curatissimo giardinetto fiorito che costeggiava questo lato del parco. Nota di cronaca: le panchine in legno del parco, TUTTE, non avevano né una scritta, né tantomeno erano divelte o rovinate, sembravano messe lì il giorno prima; qui da noi è già un miracolo se durano due giorni.

Direzione Westminster Abbey. Più o meno a metà strada tra il parco e l'abbazia, si passa proprio davanti Scotland Yard, palazzone in vetro con tanto di insegna rotante (e sì, è esattamente uguale a come viene disegnata in Dylan Dog). Un paio di vie più in là c'era pure il n°10 di Downing street (casa del Premier) da vedere, ma onestamente ci è sfuggito e pazienza. Poco prima di Westminster ci capita di passare davanti ad una tipica cabina del telefono Londinese (quelle rosse per intenderci, anche se poi in effetti in zone non centrali ce ne sono anche di blu e nere), e da turisti DOC non potevamo NON farci una foto.

Attraversiamo la strada e ci ritroviamo di fronte Westminster Abbey. Da lontano fa impressione, ma avvicinandosi devo dire che non sembra poi grandissima, colpa forse della piazza antistante che non è per niente ampia per come meriterebbe una tale facciata. L'ingresso è a pagamento, ed oltretutto quel giorno (domenica) si poteva entrare solo per le funzioni religiose, quindi ci limitiamo a guardarla da fuori; se davanti è bella, vista di lato è splendida, sulla sinistra c'è un'entrata con un portone e dei fregi superiori meravigliosi.
usciti dalla parte posteriore seguendo i giardini che costeggiano l'abbazia, esattamente dall'altro lato della strada ci troviamo di fronte The Houses of Parliament ed il Big Ben.

L’impressione è quella di stare di fronte ad un cartonato 3D a grandezza naturale. Sarà il fatto di averli visti sempre e solo in foto, depliant, schermi e TV, tutto il complesso sembra quasi finto. Ma ammazza se è vero! Ciò che stupisce è la facciata della House of Parliament - rifinitissima ed imponente con le sue centinaia di finestre e colonne che rimandano lo sguardo in alto fino alle torri ed al cielo – davanti cui trovano posto le due statue di Cromwell e Riccardo Cuordileone; anche qui i cancelli sono rifiniti in oro su sfondo nero, ed il Big Ben è pieno di scritte dello stesso tipo. Nero e oro anche qui come per i cancelli di Buckingham Palace dunque. Il Big Ben è sistemato subito alla sua sinistra (per chi viene da Westminster) e devo dire che sentirlo suonare è un gran piacere, d’altra parte quello è L’OROLOGIO per eccellenza mica per niente. Il complesso nel complesso (scusando la cacofonia del tutto) è semplicemente maestoso.



A poca distanza da lì si trova la Tate Gallery, ma per dimenticanza e/o esubero di cose da vedere (fate vobis), l'abbiamo saltata a piè pari.
Ci avviamo così oltre il Big Ben in direzione London Eye, esattamente dall'altro lato del Tamigi. Non prima però di aver notato nella piazza di fronte - proprio sotto la statua di Churchill - un uomo di mezza età, solitario contestatore della corona accampato lì da chissà quando, cartello inneggiante alla repubblica, tenda da campeggio vecchia quanto lui, barba lunga grigia e cappello da baseball d'ordinanza. Lo lasciamo al suo credo e cominciamo ad attraversare attraverso il Westminster bridge il marrone Tamigi (dire semplicemente sporco non rende assolutamente l'idea. Peccato), accompagnati dallo scocco del quarto d'ora del Big Ben che ci porta alla fila mostruosamente lunga per salire sul London Eye. Sapevamo che se avessimo voluto salirci avremmo dovuto fare fila ma credetemi, lì c'erano ALMENO due ore da perdere sotto sole, folla e caldo. Decidiamo quindi con rammarico di lasciar perdere, e mentre gli passiamo accanto, costeggiando una sfilza di ristorantini e fast food, ci accorgiamo che quantomeno la ruota è proprio bella anche se vista solo da sotto. Tiriamo dritto dunque in direzione del Waterloo bridge che ci riporterà sul lato nord del Tamigi, attraversando un parco non grande, ma pieno di artisti di strada che fanno rumore, confusione, folklore e tanta allegria. Ah, c'è pure la giostra come quella dei carillon!

Non appena riattraversato il fiume ci fermiamo in un fast food vicino la stazione della metro di Charing Cross (dopo aver vanamente tentato di entrare in un bagno pubblico, essendo sprovvisti di monete adatte alla macchinetta che c'era all'ingresso... e dopo aver lanciato la prima maledizione all'indirizzo della precisione e dell'ordine Inglese); il tempo di dare un po’ di riposo a piedi e gambe e via, in direzione Trafalgar square.

Due fontane gemelle e l'obelisco centrale ci accolgono appena arrivati, ma veniamo subito rapiti dalla visione della National Gallery che si trova proprio sulla piazza, e dalla chiesa di St. Martin in the fields che abbiamo costeggiato per arrivare lì. La seconda - che ospita un locale all'interno della cripta (chiamato appunto "cafè in the crypt") in cui è d'obbligo per ogni buon turista che si rispetti prendere il té alle 17 pena la scomunica sia papale che regale - è chiusa e quindi decidiamo di ritornarci più tardi o un altro giorno, la prima invece è aperta ed è pure ad ingresso libero, quindi entriamo.
Dopo essermi assicurato che lì dentro foto NEIN ("we don't love to, but thanks for asking" è stata la cortesissima risposta), cominciamo ad avviarci per le sale con occhio rapito e - ahimè - passo spedito.
Come il British museum di cui vi parlerò più avanti, la National Gallery è un luogo in cui passarci giorni interi, non due ore; ma come già sapete, il tempo non ci era amico quindi via su, niente chiacchiere e camminare!
Inutile cercare di descrivere le bellezze che si trovano appese in quelle pareti, l'unica è vederle. Vedere un Van Gogh da vicino, o certe tele di autori (ovviamente PER ME) sconosciuti, ti lascia semplicemente a bocca aperta.
In breve, dopo aver fatto la staffetta tra epoche ed autori di ogni secolo, facciamo tappa obbligata al negozio di souvenir che si trova al piano interrato, spendiamo un decimo di quanto avremmo voluto spenderci dentro ed usciamo.

A distanza di cammino c'è Piccadilly Circus, verso cui ci dirigiamo trovando nel frattempo il tempo di fermarci in un negozio – il Whittard of Chelsea - specializzato in tè ed infusi vari, molto caratteristico ed anche lì pieno di cose da vorrei-ma-non-posso comprare (più che altro per via delle dannate restrizioni sui bagagli in aereo). Però qualcosina l'abbiamo comprata lo stesso, tiè!
Piccadilly Circus è proprio come ci se la immagina: un gran casino. La statua di Eros (o Anteros, secondo me non lo sanno nemmeno loro) domina una piazza piena di gente, di auto, di pubblicità. In maniera alquanto strana, è uno dei posti più rappresentativi di Londra che meno rappresenta Londra, almeno secondo me.

Sono già quasi le 18 e la nostra prossima tappa, Hamleys – il negozio di giocattoli più grande di Londra – la domenica chiude proprio a quell’ora, ma da dove siamo noi imboccare Regent Street è un attimo quindi decidiamo di provarci ugualmente, anche perché c’è una via parallela che a me interessa moltissimo.
Come volevasi dimostrare Hamleys è già chiuso, pazienza, ci torniamo l’indomani, quindi attraversiamo la strada, guardiamo la vetrina del grandissimo Apple Store che c’è di fronte e ci infiliamo in Savile Row, destinazione N° 3. Questa via alla stragrande maggioranza delle persone può non dir niente, anche se di per sè è una via storica, dato che è praticamente una taylor street, una via praticamente SOLO di sartorie, molte delle quali forniscono pure divise alla corona. Il numero 3 però dice molto ai fanatici come me dei Beatles, essendo stata la sede della Apple Corp., la loro casa discografica, nonché il luogo dove tennero il loro ultimo concerto, sul tetto, il famosissimo Rooftop Concert! Il palazzo in sé per sé non è niente di speciale, ed è pure disabitato, ma è il luogo che conta, non l’edificio. In ogni caso, foto e via!

Dopo esserci guardati in faccia ed aver visto nei nostri occhi la distruzione, decidiamo che per oggi può bastare così, dunque metro e tutti in hotel. Riposate gambe e cervello, usciamo per cenare. Nella nostra zona i pub non mancano, entriamo dunque al “The Sussex Arms” dove veniamo a sapere che di solito le cucine dei locali chiudono tra le 21:30 e le 22:00, abbastanza presto quindi. Buono a sapersi per i prossimi giorni.
Cena a base di fish and chips – con un fish decisamente ENORME - e birra (ci sembrava quantomeno doveroso), e poi tutti a letto.

London by might | day 3

mercoledì 20 luglio 2011

London by might | day 1

DISCLAIMER: Questa non è una guida alle bellezze di Londra; Per quello ci sono migliaia di siti e guide apposite. Questo è il resoconto del MIO viaggio. 4 giorni di foto, strada a piedi, sole, altra strada a piedi, pioggia, ulteriore strada a piedi, conseguenti piedi doloranti... e chilometri a piedi!


25 Giugno 2011

Forte della mia esperienza in materia di aeroporti (per chi non lo sapesse, faccio l'agente di viaggi), Io, mia moglie, sua sorella e il di lei marito decidiamo di arrivare in aeroporto a Catania molto prima dell'apertura del check-in. Scelta che si è rivelata saggia, dato che abbiamo fatto un'ora di fila per il check-in, mezz'ora per i controlli ed un'altra mezz'ora per l'imbarco. Tante grazie Easyjet.

Il nostro arrivo a Gatwick non avrebbe potuto essere dei migliori: in quota non vedevamo niente dato che eravamo sopra le nuvole ed il cielo era decisamente coperto, ma non appena abbiamo cominciato a scendere, squarciato in picchiata il denso velo bianco, ci siamo ritrovati a guardare sotto di noi un panorama che definire awesome (comincio ad usare termini inglesi, così entrate un po’ nel mood del viaggio) è riduttivo: verde, paesini di mura bianche e tetti rosso scuro, campi squadrati e fiumiciattoli trasparenti.

Dopo aver trovato le nostre valigie già scaricate sul nastro trasportatore prima ancora che arrivassimo noi in zona ritiro bagagli, cominciamo ad avviarci verso la nostra vacanza.
Dall'aeroporto c'è da prendere il Gatwick Express per Victoria Station (prenotatelo online anziché farlo sul posto, con la tariffa gruppi abbiamo risparmiato il 50%, e per 4 persone si parla di 60 £), ed in treno ci troviamo di fronte alla prima piacevole sorpresa che ci accompagnerà per tutto il viaggio: la cortesia. Non so voi, ma in vita mia non avevo mai incontrato un controllore che ti accogliesse con un sorriso (ed un buongiorno) e al momento della discesa dal treno ti augurasse un buon proseguimento di vacanza.
Quasi dimenticavo, nel tragitto silenziosissimo e pieno di scorci da favola di campagna inglese, appena entrati a Londra si passa davanti ad una di quella che nei programmi era una delle mie tappe principali nel programmino (-ONE) che mi ero fatto di cose da visitare: la Battersea power station!
"Ah?'" direte voi.
"mò vi spiego" vi dico io. Anzi no, confrontate queste due foto prima:



Ecco. E' la stessa fabbrica. Quella di "animals" dei Pink Floyd. Vederla dal vivo è una sensazione incredibile: sarà stato il tramonto, sarà stato il rumore del treno o la grandezza stessa della costruzione, ma l'unico termine che mi viene in mente per descriverla è epica.

Arrivati alla Victoria Station altra novità quantomeno per noi gente di piccola città: sui tapis roulant e sulle scale mobili bisogna tenere la destra e va bene a rigor di logica, per permettere alle persone che vogliono passare di farlo agevolmente. Il discorso cambia quando si salgono e scendono le scale o si attraversano i corridoi della metro: in questo caso in quanto english, si cammina tenendo la sinistra! All'inizio è una cosa un po’ estraniante - sopratutto per noi italiani abituati al caos (in)controllato - dato che si è costretti a fare zig-zag da un lato all’altro tra scale mobili e corridoi, ma ci si fa presto l'abitudine.

Il nostro hotel era situato nel quartiere di Paddington, quindi da Victoria Station abbiamo dovuto prendere la metro per arrivarci. Era sabato sera e non c'era molta gente nei vagoni, ma già da qui si arriva a capire la multietnicità di Londra: Italiani (tanti), Indiani (tantissimi), Cinesi e Jappo (tanti ma meno degli Indiani), tedeschi e nordici in genere (già molti meno), Africani (pochi, la gente di colore che c'era erano Inglesi per la maggior parte), ma in generale per metterla sui numeri, su 100 persone in giro, giusto il 50% è Londinese DOC.
Il nostro primo contatto con la Londra in superficie è stato esattamente quello che ci saremmo aspettati: bellezza. Ad accoglierci fuori dalla fermata di Paddington una tipica cassetta delle lettere rossa, un hotel (Hilton se non ricordo male) sito in un palazzo di epoca Vittoriana tutto bianco, cab (taxi) neri e bus a due piani rossi... che tengono la sinistra. Ah, erano circa le 22 e c'era ancora luce naturale.

Ci indirizziamo così verso l’hotel, che scopriamo trovarsi in una zona (London street ad incrocio dei Sussex Gardens) in pratica composta solo da Hotels e ristoranti, decisamente tranquilla a livello di traffico automobilistico, e molto silenziosa (cosa su cui non avrei scommesso 2 centesimi all’inizio del viaggio). Il complesso in cui è situato l’albergo è delizioso e la stanza assegnataci per la prima notte era abbastanza piccola, ma dal secondo giorno in poi siamo stati spostati in un’altra grande praticamente il doppio per cui a livello di spazio, niente da recriminare. L’hotel è un tipico hotel inglese, con moquette e carta da parati ovunque, materassi spessissimi, infissi bianchi e colori di lenzuola e trapunte improponibili.

Sistemate le valigie, dato l’orario – le 22:00 circa - e la stanchezza dovuta al viaggio, ed essendo onestamente leggermente un po’ spaesati, decidiamo di mangiare una cosa veloce in un Burger King pieno di impiegati Indiani (moltissimi fast food si riveleranno gestiti o quantomeno impiegati da personale Indiano) e poi tutti a letto.

London by might | day 2